Il guerriero non è taoista, buddista, confuciano, cristiano, induista o può essere tutte queste cose. Il guerriero segue il principio del corso naturale delle cose, quei principi universali che si trovano in ogni cultura e in ogni tempo.




venerdì 23 maggio 2008

Ognuno sceglie il suo percorso

di Tenzin Tsundue
Quella mattina presto, prima del sorgere del sole, quando ho impacchettato il mio sacco a pelo per intraprendere questo lungo viaggio, ho deposto una sciarpa bianca (khatak) sull’altare di Sua Santità e mi sono detto: ho deciso, qualsiasi cosa succeda andrò avanti. Camminando per quasi settanta giorni - un gruppo di trecento persone che a piedi hanno percorso oltre novecento chilometri attraverso l’Himachal, il Punjab, l’Haryana, Delhi e l’Uttar Pradesh - abbiamo raggiunto ieri la città di Almora, tra le montagne del Kumaon, nello stato dell’Uttarakand, nell’India del nord. Da qui il Tibet non è molto lontano.
La Marcia verso il Tibet è iniziata a Dharamsala il 10 marzo. Lo stesso giorno, in tutto il mondo, ci sono state sollevazioni simili organizzate dai tibetani e dai loro sostenitori, perfino in Tibet, una vera insurrezione generale. Alla partenza eravamo un gruppo di cento marciatori ma, lungo la strada, molti altri si sono uniti a noi. Domani, quando lasceremo Almora per le vallate d’alta montagna, in direzione del Tibet, saremo in trecento. Con noi anche otto sostenitori stranieri, provenienti da diversi paesi. Qualcuno ci accompagna fin dalla partenza.
Lungo tutto il percorso, gli indiani ci hanno accolto con calore, hanno tenuto alto il nostro morale e in alcune località ci hanno offerto acqua e un riparo. Per lo più abbiamo passato le notti negli Ashram, nei Gurudwara o nelle scuole, talvolta anche sul terreno ai margini della strada e le autorità municipali ci hanno portato cisterne d’acqua caricate su trattori. Per loro cultura gli indiani hanno l’abitudine di compiere lunghi viaggi di pellegrinaggio attraverso il paese e l’ospitalità è quindi un’usanza naturale. Lungo tutta la strada, la polizia, in jeep o motocicletta, ci ha fornito una scorta che cambiava ad ogni passaggio da un distretto all’altro.
Penso sappiate che il 13 marzo, nel Distretto di Kangra, cento di noi sono stati arrestati dalla polizia e detenuti per quattordici giorni. Tre giorni dopo ha preso l’avvio la seconda fase della Marcia che ne ha portato avanti lo spirito. Dopo il nostro rilascio ci siamo nuovamente uniti al gruppo nonostante pendesse su di noi un mandato di comparizione: alla fine dello scorso mese, Choeying, Lobsang Yeshi e il sottoscritto abbiamo dovuto comparire davanti al tribunale di Dhera e dovremo nuovamente farlo in giugno.
Ho appreso che qualcuno, sulla base di notizie riportate dai giornali, ha creduto che la Marcia fosse stata cancellata. Io stesso sono stato contattato telefonicamente, ma mi sono affrettato a dissipare ogni dubbio. Prevedendo, in prossimità del confine, un inevitabile scontro, Sua Santità ha consigliato agli organizzatori di non proseguire la Marcia. Ma il sacrificio della nostra gente, la loro sollevazione coraggiosa e non violenta e il perdurare della repressione cinese, hanno dato nuovo slancio al nostro impegno. Non potevamo fermarci. Così, dopo un momentaneo periodo di sosta, il 19 aprile, da Delhi, abbiamo ripreso la Marcia verso il Tibet.
Il viaggio da Delhi attraverso l’Uttar Pradesh è stato difficile: faceva molto caldo e la strada era asciutta e polverosa. Sulla carrozzabile abbiamo rischiato di essere travolti da camion e autobus che a volte sfrecciavano vicini alle nostre orecchie e a volte si fermavano per afferrare i volantini che tendevamo loro. Abbiamo camminato uno dopo l’altro in fila indiana, come le molte gambe di un millepiedi, un solo lungo corpo. Quando la testa del gruppo raggiungeva la curva successiva, la coda stava ancora arrancando dietro la precedente.
I marciatori si svegliano alle quattro del mattino e dopo aver impacchettato sacchi a pelo, tende e materassini fanno colazione. Alle cinque partiamo. Di solito camminiamo per 6 - 7 ore al giorno coprendo una distanza di circa 20 – 25 chilometri. Gli addetti alla logistica e alla cucina ci precedono su mezzi motorizzati e allestiscono il campo. In alcune località l’acqua è un lusso. Ci laviamo ai lati della strada, sotto getti d’acqua che sgorgano da pompe azionate a mano; talvolta centinaia di monaci si lavano insieme nei campi di grano. È davvero una grande esperienza soddisfare le funzioni naturali in aperta campagna, sotto la luna, con una brocca d’acqua a fianco.
La maggior parte dei marciatori sono monaci buddisti appartenenti alle tre grandi università monastiche dell’India del sud. Ci sono alcuni anziani, fuggiti dal Tibet con il Dalai Lama nel 1959. Il più vecchio ha settantotto anni. I più giovani sono due ragazzi diciassettenni, nati e cresciuti in India, che non hanno mai visto il Tibet. Ci sono alcune giovani madri che hanno lasciato ai mariti il compito di occuparsi della famiglia. Il gruppo addetto alle comunicazioni cerca di mantenere il contatto con il resto del mondo e di organizzare incontri con i media locali. Nelle riunioni serali, dopo la preghiera giornaliera, l’addetto stampa ci comunica le ultime notizie. Spesso i marciatori applaudono le azioni a sostegno del Tibet compiute in India e all’estero: le proteste contro la fiaccola olimpica a Londra, Parigi, S. Francisco, Canberra e Tokio sono state particolarmente apprezzate come pure le manifestazioni in corso a Kathmandu, brutalmente represse dalla polizia.
Stiamo per iniziare l’ultimo tratto della Marcia. Da Almora alla frontiera ci sono appena 200 chilometri e non appena saliremo più in alto, nell’Himalaya, farà più freddo. So che non è facile fare ritorno in una patria ancora sotto occupazione. I soldati cinesi presidieranno la frontiera con i fucili e anche la polizia indiana troverà una scusa per fermarci. Il confronto è inevitabile ma non ci fermiamo. Forse saremo costretti ad accamparci per lungo tempo nei pressi della frontiera, forse dovremo chiedere il sostegno e la partecipazione della comunità internazionale. Marciamo verso l’incertezza.
Per noi la Marcia verso il Tibet è una via per tornare alla madrepatria e riaffermare il nostro diritto di essere liberi nella terra natia. Qualsiasi cosa succeda, il nostro impegno alla non violenza è totale, non faremo ritorsioni. Forse saremo picchiati, imprigionati, magari anche uccisi, ma non molleremo. Non ho altro progetto nella vita che questa Marcia. Per noi tutti è l’impegno della nostra vita.


Per leggere gli aggiornamenti giornalieri, le storie personali dei Marciatori e vedere le fotografie vi chiediamo di consultare il sito: http://www.tibetanuprising.org/
Alcuni sostenitori non tibetani ci hanno accompagnato per un paio di giorni o più a lungo, altri sono con noi fin dall’inizio. Se desiderate raggiungerci contattate per favore i nostri coordinatori:
Sherab Woeser: sherabwoeser@yahoo.com
Cell.: 0091.9418394426
Lobsang Yeshi:
Cell.: 0091.9410936742/9756969141
Se siete lontani e non potete raggiungerci, passate parola. Ci sarebbe di grande utilità ricevere in dono sacchi a pelo, scarpe e materassini. Un contributo finanziario ci aiuterebbe ad approvvigionarci di cibo e acqua per andare avanti. Confido sul contributo al movimento da parte di ogni tibetano.
Bod Gyalo! (Vittoria al Tibet)
Tenzin Tsundue, in cammino per il Tibet

13 maggio 2008 Almora, Stato dell’Uttarakand, India
Fonte: http://www.italiatibet.org/

Considerazioni:
La situazione in Tibet è solo una delle tante situazioni in cui si ledono i diritti umani. Quando pubblico qualcosa sul Tibet non penso solo al Tibet!

1 commento:

Viviana B. ha detto...

Mi è piaciuto moltissimo questo tuo post.
E molterrimo mi sono piaciute le tue considerazioni!
Il Tibet, soprattutto in questo momento, è davvero l'esempio, il monito, cui riferirsi per ricordare il dramma dei tibetani e di tutti coloro che, come i tibetani, vedono i propri diritti basilari di esseri umani venir ignorati se non calpestati.
Bravissima!